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Sul
finire di maggio, il desiderio di "suggellare" la
stagione con una montagna "vera", completa sotto tutti i
punti di vista (quota, dislivello, impegno) è ormai alle stelle.
Troppi i week-end passati ad aspettare il momento propizio, troppe
le settimane trascorse. Finalmente il meteocrucconia annuncia una
due giorni all'insegna del tempo stabile che coincide con la prima
settimana di chiusura del rifugio...quando si dice la fortuna! Siamo
in 4 quando, senza fretta (una volta tanto), partiamo sabato
mattina da Rovato. Il viaggio sarà lunghetto, lo sappiamo, ma la
salita al rifugio con gli zaini pesanti che contengono
l'attrezzatura da bivacco, in compenso, piuttosto breve. Dopo
circa 4 ore siamo al paese di Tasch, dove riusciamo a trovare
dell'ottimo pane (!) per il nostro vitto. Risaliamo la strada fino
al suo termine ad Ottawan e, caricati i fardelli sulle spalle,
saliamo al rifugio per mulattiera. Come presunto, il rifugio è
stupendo, e per il momento anche vuoto. Subito io e Dario ci
organizziamo per un pranzo, Roby e Gianfranco invece, per una gita
di ricognizione (cannibali). Il pomeriggio passa tranquillo,
accogliendo gli escursionisti che arrivano alla spicciolata e
sonnecchiando al sole davanti al rifugio. Quando tornano i soci
trovano il rifugio riempito e noi, fancazzisti come non mai,
pronti a riaccendere i fornelli. Il resto sarà solo attesa,
chiacchierando con i compari di ventura delle varie imprese (le
loro) e della salita di domani. Alle 22 tutti a nanna, alcuni nel
lettino, altri per terra, ma tutti ugualmente comodi: la svegli
per noi è alle tre e mezza. Neanche il tempo di chiudere gli
occhi ed è già ora di indossare l'imbraco. Dopo un'abbondante
colazione infiliamo tutta la merce nello zaino, decisi a non
ripassare dal rifugio al ritorno, spalliamo gli sci e alla luce
della frontale procediamo verso la nostra meta. Anche quando
raggiungiamo la neve in tre optiamo per la salita a piedi,
Gianfranco calza gli sci. Raggiunto il ghiacciaio è ormai giorno;
una inattesa discesa in traverso ci immette nel Mellichgletscher
al cospetto della ripida parete ovest del Rimpfischhorn. Il
ghiacciaio non presenta difficoltà, ma il freddo è davvero
pungente e atrofizza i muscoli della faccia. Procediamo piuttosto
rapidi sul dolce pendio, fino a quando raggiungiamo la traccia che
proviene dalla Britanniahutte. Adessso il pendio comincia ad
impennarsi progressivamente, ma il fiato tiene e in circa quattro
ore e trenta siamo al Rimpfischsattel a 4006 metri. Formiamo due
cordate da due, io e Dario e Roby col preoccupato Gianfranco. In
effetti la vista del tratto alpinistico della montagna non è
quanto di più rassicurante possa attendersi un novizio
dell'alpinismo. Attacchiamo il ripido couloir superando altre
cordate (per fortuna) e subito dopo esso il primo traverso misto
su cengette delicate, che consentono di doppiare un paio di
speroni secondari e immettersi nel ripido pendio che conduce ai
piedi della cresta finale. L'esposizione è notevole, ma
procediamo sicuri forti dell'affiatamento conseguito in diverse
ascensioni più o meno complesse. I primi escursionisti rinunciano
alla salita, nonostante il nostro tentativo di rassicurazione.
Adesso davanti a noi ci sono solo 5 persone. In alcuni posti il
numero di ramponi che si muovono sopra la tua testa è
direttamente proporzionale alla possibilità di beccarti un sasso
o una padella di ghiaccio. Questo è uno di quei posti: un pendio
a 55° cui fa seguito un traverso su roccette malferme
(fortunatamente cementate dal gelo). D'un fiato risaliamo la
paretina e, doppiata l'ennesima crestina, ci ritroviamo al
cospetto della croce sommitale. Un ultima traversata in mezzacosta
molto esposta ci porta alla piccola cuspide, sulla quale in 5 si
fa davvero fatica a starci. Attendiamo che arrivi il resto della
troup, per iniziare una penosa discesa trafficando tra cordate di
millantati superalpinisti che goffamente si dilungano in tiri di corda al
limite dell'irritante. Dopo vari stratagemmi, discussioni (in
alcuni casi animate, vedi Rob che piccozza un facinoroso...) e varianti al percorso, riusciamo a
raggiungere i nostri amati sci. Scendiamo i primi metri del
ghiacciaio su neve farinosa che ricopre un fondo "arato"
e irregolare, poi la neve diventa trasformata, capace di regalare
una sciata rilassante e divertente... rilassante? Troppo presto
per dirlo: tutte le tracce-tutte ripercorrono la via di salita,
noi, che non abbiamo intenzione alcuna di ripassare dal rifugio,
decidiamo di scendere per le pagine occidentali del Mellich.
L'ambiente è fiabesco: candide lenzuola bianche perfettamente
stirate che si ricamano al passaggio dello sci. Neve da sogno. Un
salto verticale ci riporta bruscamente alla realtà; dobbiamo
risalire e cercare una soluzione...da qui no, da qui neanche...da
li men che meno! Traversiamo convinti, sul labbro di un enorme
seracco, fin quando individuiamo una possibilità. Ci consultiamo
e... la proviamo! La prima parte è visibile e i crepacci non
sembrano poter destare preoccupazioni eccessive, più in
basso...vedremo. Siamo adesso su un vasto pianoro poco inclinato.
Una scelta errata ci farebbe perdere parecchio tempo. Decidiamo di
orientarci verso la bastionata rocciosa che in passato conteneva
il ghiacciaio, ritenendo (a ragione) di poter raggiungere
attraverso la base di essa una morena. Proprio così: un canale
compreso tra la bastionata e il bordo del ghiacciaio ci conduce
oltre il termine delle lingue perenni, ma un'altro dirupo
interrompe la linea. Stavolta la scelta è dettata dalla
"supervisione" del ghiacciaio del giorna precedente dal
rifugio. Traversiamo lungamente cercando di non perdere quota fino
a raggiungere alcuni canali che ci permetteranno di scendere sulla
parte inferiore del Langfluhgletscher. Qui ci separiamo: io e
Dario traversiamo a piedi la morena laterale e ci infiliamo nel
vasto vallone subglaciale, Roby e Gianfranco scendono nel canale
della morena. Ci ricongiungiamo poco dopo sul fondovalle, ai
margini del fiume, stanchi ma eccezionalmente soddisfatti sia
dallo spessore della gita sia (con orgoglio) dalla nostra
capacità di trarvi il massimo dalla corretta scelta
dell'itinerario. Spallati gli sci una lunga strada
semipianeggiante ci riporta alla macchina. E' questo il profilo
migliore dello scialpinismo, un itinerario in ambiente selvaggio,
solitario, con una discesa in perfetta solitudine su pendii
immacolati ; completo e impegnativo sia tecnicamente che
psicofisicamente. Con certezza assoluta la più bella
scialpinistica del mio (e credo non solo) carnet.
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