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non
sempre le cose vanno per come le hai programmate... fino a qualche
giorno fa mi affaccendavo nel documentarmi sulla salita della
cresta nord del Weisshorn, una telefonata ai soci che mi
informavano di avere altri programmi mi ha portato (poco pi?in
l? ad un progetto desiderato da tempo per le sue eleganti linee
rocciose ed obbiettivo di Rob gi?da qualche settimana... Tempo
da lupi! Anzi, un vero diluvio con coreografia di lampi
impressionante.... ma dove stiamo andando? Sappiamo benissimo che
per la salita da realizzare occorre tempo ottimo e stabile per
tutta la giornata, le previsioni sembrano garantircelo, il
presente assolutamente no. Arriviamo al parcheggio di Tasch col
cielo plumbeo e temperatura fresca. Dopo aver pagato il solito
esoso biglietto per il trenino che ci conduce a Zermatt, iniziamo
a salire lungo il comodissimo sentiero per la Rothornhutte. Siamo
carichi come dei muli, ma la temperatura piuttosto bassa ci fa
andare di buon passo. Poco sotto la morena. a 2300 m di quota
inizia anche a nevischiare e il nostro passo, man mano che la
temperatura si abbassa, aumenta proporzionalmente. Alla fine
copriremo i 1600 m di dislivello in 3 ore e mezza. Questo rifugio,
standard nei canoni dei rifugi elvetici per quanto riguarda
servizi igienici (latrine delle peggiori), prezzi (da Hilton) e
quant'altro di superfluo, merita una nota ...di merito per la
cucina e il dormitorio. La prima abbondante e varia ( solita
minestra e bis, pastasciutta senza condimento e bis, costoletta
con strano sugo gustosissimo col quale condire la pasta, insalata
strepitosa e involtini vegetali) il secondo, pur ridotto negli
spazi, attrezzato per essere comodamente sfruttato in ogni
dettaglio. Ha nevicato nei giorni precedenti e le pareti rocciose
di alcune montagne, su tutte il Cervino, sembrano essere in
condizioni invernali. Io ridisegno il rosario, consapevole che il
nostro progetto rischia di sfumare. Tra l'altro fa un freddo
spaventoso. Dopo un summit decidiamo di rimandare la salita dell'Obergabelhorn
e puntare decisi allo Zinalrothorn; se poi le condizioni dovessero
sembrarci favorevoli, saliremo l'altra il giorno seguente. Ci
incamminiamo alle 05:00 alla luce delle frontali, sbagliando
ovviamente traccia all'inizio (con consueta processione di lumini
al seguito) ed allungando un pochino il percorso di accesso alla
spalla dello Zinalrothorn su un crepacciatissimo ghiacciaio.
Comincia la salita delle prime roccette che portano ad un lungo
traverso detritico cui fa seguito uno spallone tal quale che conduce,
con tracce di passaggio, ad un primo nevaio. Lo si supera salendo
verso sx fino a doppiare una spalla che adduce ad un ripido nevaio
risalito il quale si raggiunge il filo di cresta, aereo ed
elegante, quasi pianeggiante. Ci leghiamo e procediamo in conserva
a raggiungere l'imponente scoglio roccioso. Iniziamo una
traversata su rocce innevate verso il centro del canale che solca
la parete, fino ad oltrepassarlo. Sappiamo che la via usuale resta
all'interno del canale o sulle roccette che lo delimitano,
soluzione adottata da tutti i presenti, ma ci
lasciamo attrarre dalla solidit?della roccia alla sx dello
stesso. Ai piedi di una sezione un po' pi?difficile ci viene
qualche dubbio anche perch?non abbiamo la minima idea di
come sar?pi?avanti. Raggiungiamo la base di uno spigolo sulla
cui sx corre una placca che si issa a camino nella parte alta. La
qualit?della roccia ?ottima e noi siamo adeguatamente
attrezzati e motivati per proseguire nella nostra via alternativa.
Intanto tutte le cordate si infilano nel canalone centrale,
solcato da una rigola nevosa; dietro di noi per?due ragazzi
credo svizzeri, che solo poco tempo prima, all'uscita dal ghiacciaio in
un canalino roccioso, avevano ricevuto una tempesta di accidenti
dopo avermi scaricato addosso alcuni sassi, ci seguono...
preoccupati. Il primo mi chiede se ci troviamo sulla via corretta
e io gli spiego in uno stentato inglese che ne siamo ormai
lontani. Preoccupato mi chiede se vedo un passaggio, gli rispondo
che al termine del camino potrebbe essercene uno. Salgo la placca
che forma la faccia sinistra del camino (la destra ?
strapiombante), fino a quando, raddrizzandosi, non ?possibile
spaccare sulle due facce e uscire ad un comodo punto si sosta in
corrispondenza di una cengia inclinata. Recupero Rob e gli faccio
sicura mentre percorre la cengia, prima rocciosa, poi nevosa ed
esposta fino al caratteristico intaglio del Gabel ricongiungendosi
alla via comune. Intanto l'improvvido seguace elvetico bestemmia
nella sua lingua perch?non riesce a risolvere l'ultimo metro del
camino e giungere al punto di sosta. Gli tendo una mano,
attendendo un suo "no, thank you", invece mi guarda
sorridente e la afferra con forza. Lo isso alla cengia e gli
mostro un buon spuntone dove fare sosta...ed ?pace fatta. Rob mi
recupera e, una volta alla sella decidiamo di togliere i ramponi.
Probabilmente avremmo fatto meglio a tenerli, poich?le belle
placche sono innevate ed insidiose; in un passaggio obbligato su
una cengia scomodissima, una cordata "tappa" la via,
creando un ingorgo mostruoso. Non appena giunti in cresta, li
superiamo con i nervi ormai fuori dalla giacca a vento, complice
anche il freddo insopportabile. Ormai siamo vicini alla vetta,
resta da percorrere la cresta finale, aguzza, con un passaggio su
una cengia incredibilmente esposta: 3 metri sospesi nel vuoto,
costretti a passare "a sbalzo" a causa della roccia che
strapiomba ma che, fortunatamente, offre solidi appigli per le
mani. Passandola mi soffermo a guardare il baratro alle mie
spalle: adrenalina pura, ai limiti delle vertigini. Ormai ci
siamo, l'ultimo castelletto di roccette ed ?vetta. Sette ore di
salita, ma il bello deve ancora venire; ne siamo ben coscienti,
infatti non indugiamo oltre prima di riprendere la discesa mentre
la maggior parte delle cordate sta ancora salendo. Incontrati tre
ragazzi di Como conosciuti la sera prima al rifugio, decidiamo di
unire le corde per doppie pi?lunghe e rapide... mai decisione fu
pi?balorda: la prima doppia, a causa del forte vento, va a
finire in uno strapiombo e, nel recuperarla, si incastra. Rob ha
il suo bel da fare per cercare di districarla. Si perde molto
tempo. Finalmente riesce a calarsi fino ad un'altra sosta e posso
scendere io a districare i restanti metri ancora incastrati. Dopo
varie e lunghe peripezie riusciamo a giungere al Gabel. Da li in
poi scendiamo abbastanza veloci (un po' a danno della sicurezza) e
raggiungiamo la sospirata cresta nevosa di Q 3800 alle 18 in
punto. Uno smottamento nel canale appena superato provoca un rombo
spaventoso. Proseguiamo la celere discesa sapendo che arriveremo
al rifugio alle ultime luci, ma va bene cosi; il restante tratto
fino a Zermatt sar?solo una (lunga) formalit?alla luce delle
frontali. Resta tempo, prima di montare sul ghiacciaio, per
l'ultimo rischio fuoriprogramma della giornata: disarrampicando
nel canaletto roccioso che segna il termine della cresta, si
stacca una lama al la quale sono aggrappato... mezzo metro cubo di
roccia si infrange mentre, con un riflesso che ancora non ho
capito, resto aggrappato sull'altra mano riuscendo a spostare le
gambe prima di venire colpito dal macigno...di solido gneiss.
Mentre verso le 22 intravediamo le luci di una ancora lontana
Zermatt, ci accorgiamo che alcuni alpinisti si stanno movendo sulla cresta da noi raggiunta alle 18:00...per noi ?stata lunga,
ma per gli ultimi alla fine sar?stata un epopea.
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