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pi?o meno l'ora di cena quando Ezio mi telefona con un tono
rassegnato-dimesso-smarrito, domenica sera... fatica a trovare le
parole, poi lo dice: ?morto. No, non pu?essere. Ma chi? E'
impossibile! Non su quella cresta, non in quel punto... e tutti i
progetti ancora da realizzare? Tutte le scialpinistiche del nostro primo
anno di attivit? da ripetere per poterle gustare, visto che quell'anno
erano state solo mera fatica... No, non pu?essere successo, non ci
credo. Ma purtroppo la notizia riferitami dal caro Ezio non ?una
supposizione: Dario ?scivolato lungo la cresta di Vallumbrina, al
ritorno dalla Punta San Matteo, precipitando per circa 70 metri. Ezio e
Lorenzo partono la sera stessa alla volta di Bormio dove la salma di
Dario ?stata composta, raggiungendo Domenico (Franzelli), Riccardo e
Dori, suoi compagni in questa ultima escursione. La mattina seguente,
prima dell'alba, Fabrizio e Valerio passano a prendermi per
raggiungerli a nostra volta. La mattina ?limpida e fredda, lo scenario
dei monti intorno a Bormio ?affascinante nella sua crudelt? Ci
rechiamo al Passo Gavia per recuperare l'auto di Dario rimasta al
parcheggio del rifugio Berni. Guardo la cresta e ancora di pi?non
riesco a capire... percorrevamo insieme quella cresta anni fa, e
l'avevamo trovata piuttosto banale, seppur bella e panoramica in
un ambiente aspro data la quota. Cerco di immaginare la
tragica scena ma ?irreale, tu non potevi cadere da quella dorsale.
Vedo la macchina che ci ha portato tantissime volte in giro per le Alpi,
volevi venderla... La riporta a valle Dario (Cavalleri) insieme a
Lorenzo. Mentre scendiamo il pensiero va ai tuoi genitori... come
riusciranno a sopportare la mancanza di cotanto sostegno per la loro
vecchiaia? Quando arriviamo a Bormio finalmente ci permettono di
vedere il tuo corpo. Una tristezza mai provata, un dolore
indescrivibile, nel vedere il tuo volto segnato dalla fatale caduta. Il
capo ?abbondantemente fasciato... io spero che quel colpo sia stato il
primo e che tu non abbia sofferto...lo spero. Prima di lasciarti solo
con gli "operai" riesco a dirti un ultima volta "ciao,
vecio". Quando a pomeriggio tardo
carichiamo la tua bara sul carro funebre ho come l'impressione di aver
dato fondo a tutti i pensieri che mi provocavano tristezze e rimorsi.
Rimorsi per tutto quello che non abbiamo fatto assieme...tristezze per
quei battibecchi che di tanto in tanto scaturivano dal diverso modo di
vedere le cose. Ma l'amicizia ?questo, ?anche e sopratutto questo.
La notte passa tra mille pensieri, mille e mille ricordi. La sera dopo
alla tua veglia funebre vedo le foto di cui mi parlavi, dei
"4000"! Lamentavi scherzosamente il fatto di avere un ufficio
che cominciava a diventare piccolo per tutte quelle foto... Le osservo,
sono tante, tutte salite fatte assieme, tranne il Gran Paradiso. Li, sulla Punta
Giordani, sei venuto bene, accanto alla Madonna posta in vetta...
Quella ?la vetta del Bernina, dopo aver percorso la Biancograt,
avevamo conquistato un sogno. E ancora la Vincent, la Gnifetti e la
Parrot... il Breithorn occidentale, che salimmo con gli sci per
celebrare il mio addio al celibato...e le vette dell'Allalinhorn e dell'Alphubel
sempre saliti con gli sci, come li sul Rimpfischhorn, che salita... non
c'era spazio per molti sulla vetta, non era una salita per tutti... E
poi le ultime, di questa estate, cavalcando la spettacolare lama della
traversata dei Breithorn, sospesi tra terra e cielo... non rischiavamo
mai niente assieme, affidavamo l'uno all'altro la rispettiva incolumit?
senza alcun dubbio. Eri un compagno perfetto, mi avevi sempre lasciato
condurre la cordata, facendomi sicura con attenzione. Ricordo il
tuo congelamento alle dita della mano per scattarmi una foto sul seracco
della nord del Ciarforon...adoravi quella montagna. E sulla nord del
Pasquale... mi dicesti che ti dava la sensazione del volo. E quando
salimmo quella cascata che chiamammo "Le campane di Loveno" ?
Quel rampone...! Ma come faccio a ricordare tutti i bei momenti passati
assieme, ?impossibile: non baster?tutta una vita, per quel tramonto, quell'alba, quel passaggio
difficile, quella stretta di mano. Poi vedo la foto di vetta del Monte Bianco. Ci sono anch'io,
non l'avevo mai vista e non lo sapevo. Quel giorno ero io a essere
emozionato...tu te ne accorgesti, eravamo entrambi provati. E il
tuo funerale... non avrei mai potuto immaginarlo.Ti porto a spalla. Una
folla da stadio, eri benvoluto da tutti, dai ragazzi dell'oratorio ai
tuoi clienti, agli amici del Cai; da chiunque ti conoscesse. L'omelia ?
commovente, pura verit? C'?spazio anche per alcuni rappresentanti
dei vari gruppi di amici che vogliono ringraziarti e salutarti un'ultima
volta. Io non riuscirei a dire una parola. Tutto chiuso in fondo al
cuore. Troppe le emozioni condivise. Eri la persona alla
quale avrei affidato mio figlio senza timori, per una escursione in
montagna. Eri molto pi?attento e prudente di me. Il tuo amore per la
compagnia era la cosa che pi?ci divideva: tu sapevi rinunciare senza
problemi ad una ascensione impegnativa per una escursione in compagnia,
io no; eri molto pi?presente di me nell'attivit?escursionistica del
Cai. Compagnia, in montagna, non fa rima con difficolt? ma per te non
era affatto un problema, a te andava bene tutto, eri una persona che
gioiva delle soddisfazioni altrui, disposta ad accompagnare persone meno
provvedute di te su percorsi per loro impegnativi, per te banali. La tua
ricompensa a questo era la stretta di mano in vetta... Ed infine l'ultima
doverosa replica alle affermazioni dementi e sconsiderate di un tal
Valerio Zani responsabile del S.A. del bresciano che, non avendo avuto
l'onore e la fortuna di conoscerti, paragonava il tuo incidente a quello
analogo possibile all'escursionista delle ferie agostine che affolla i
sentieri. Non potevamo permetterlo, non posso permetterlo: la tua
memoria va rispettata e chi non ti conosceva in vita non ha alcun
diritto di giudicarti da morto. E cosi a questo signore voglio dire che
Dario era un'alpinista (sebbene lui si rifiutasse di definirsi tale) che
valutava attentamente le condizioni della montagna, preparava a tavolino
ogni uscita con pignoleria, raccoglieva quante pi?informazioni fosse
possibile avere sulle condizioni dell'itinerario e non aveva nessun problema a rinunciare ad una salita se
una volta giunti sul posto i fatti gli avessero dato torto. Era
preparato tecnicamente e aveva conseguito tutta l'esperienza necessaria
ad affrontare le montagne che si poneva come obbiettivo, conscio di non
essere un "superuomo". Aveva una grandissima esperienza come
scialpinista, nel suo curriculum salite di ogni difficolt?e
genere su tutte le Alpi. Rifletta, signor Zani e sopratutto controlli
che il cervello sia collegato alla lingua, prima di aprire la bocca: i professionisti, come
gli accademici, come gli "esperti", non sono esentati dalle
disgrazie imponderabili che la montagna pu?riservare. Abbia buon
senso, quando (purtroppo) la prossima volta si trover?a commentare un
episodio del genere. Ciao Dario,
grandissimo compagno di mille scalate, di infinite emozioni, nelle nostre future salite in montagna avremo
sempre un pensiero per te.
A
margine, riporto quanto rilevato da me e Claudio durante la salita al monte
Mantello del 03 ottobre u.s.: partiamo dal parcheggio del rif. Berni
alle 07:30. La mattinata ?molto fredda e tracce di ghiaccio si
incontrano qu?e la sul sentiero che si inoltra in val di Doseg?
Raggiungiamo il bivacco Btg monte Ortles alle 09:30. Percorriamo la
cresta che conduce al Pizzo di Vallumbrina ed alla Cima di
Villacorna. Oltre questa, su indicazioni dateci da chi presente quel
giorno (Riccardo) cerchiamo il bastoncino che fu di Dario nonch?il
luogo della disgrazia. Intanto, date le condizioni infide del terreno
dopo la nevicata di domenica notte e la scarsa lucidit?con la
quale affrontiamo la salita, decidiamo di legarci in cordata. Alcuni
punti sulla cresta ed alcuni passaggi esposti, si prestano ad essere la
possibile causa dell'accaduto, ma ripetute telefonate a Riccardo
smontano le nostre supposizioni. Arriviamo quindi in vetta al Monte
Mantello e, pi?avanti, alla base della Punta San Matteo. Ormai certi
di aver superato l'esatto punto, torniamo indietro prestando ancora pi?
attenzione all'individuazione dello stesso. Dopo una facile discesa
dalla cima del Mantello (m 3517), seguono una serie di passaggi su
facili rocce ed una "strettoia"a 3480 m di quota che espone
brevemente al versante occidentale della cresta. Poco oltre, ritrovo
fortuitamente sotto uno strato di neve il bastoncino dell'amico e capiamo di essere giunti al
termine della ricerca. Un ultima telefonata chiarisce ogni dubbio: Dario
quasi con certezza stava percorrendo i passaggi rocciosi (ripeto,
facili) con i due bastoncini in mano in condizione di non utilizzo (il
che spiegherebbe il loro ritrovamento sul luogo della caduta), fino a
quando, in prossimit?della "strettoia" di cui sopra, per
motivi che resteranno ignoti ha perso l'equilibrio picchiando
violentemente il capo e scivolando privo di sensi sul sottostante pendio
innevato (l'integrit?degli indumenti indossati dal nostro sfortunato
amico ?determinante per la ricostruzione dell'accaduto) fino a
fermarsi, ormai sul ghiacciaio di Doseg? non meno di 100 metri pi?in
basso nella zona dei crepacci terminali.
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